lunedì 3 marzo 2008

GIORNO 27: un caffè a Fontana di Trevi...



26 Febbraio 2008

ore 16:07 postazione: ANSA




AVVERTENZA

Da qui è partito tutto. Questo post, pubblicato in separata sede, mi ha fatto nascere l'idea di un diario-blog sulla vita di una stagista. Per questo ho deciso di ripubblicarlo integralmente, anche venendo meno all'ordine cronologico.
Solo per questa volta però, lo prometto!


C’era poca gente alle 14.30 oggi, a Fontana di Trevi. Forse perché il cielo era coperto.
Ho potuto trascorrere la mia pausa pranzo in tutta tranquillità, senza dover ingoiare il panino per scattare la foto a una coppia canadese in Italia per il loro venticinquesimo anno di nozze. Oppure a quegli odiati milanesi, che l’altro giorno mi hanno fatto perdere un quarto d’ora: “Devi cogliere il momento in cui lanciamo la monetina, si devono vedere le monetine in aria” – continuavano a dirmi, ed è solo merito dell’educazione che mi ha dato mamma se non gli ho risposto: “A Milanesi di sto c…o , ma per chi m’avete preso?”. Oggi nulla di tutto ciò, solo una bambina down mi si è seduta vicino bramosa di conoscere nei dettagli la leggenda che ha dato fama a questo monumento, ma fortuna ci ha pensato sua madre a togliermi dalle vesti di Cicerone, che peraltro poco mi si addicono.
Così sono andata a prendere il solito caffè, dai miei nuovi amici, lì al bar che fa angolo.
Fortuna che ci sono loro. Mi fanno sentire importante: “un caffè per la giornalista” dicono sempre appena mi vedono all’entrata. Perché poi io sono una “Giornalista dell’Ansa”, e quindi il caffè lo pago solo cinquanta centesimi, anche se stiamo di fronte a Fontana di Trevi.
Un caffè per la giornalista, see magari!
Fortuna che ci credono, almeno loro. E fortuna che ci sono loro, ogni pomeriggio, a dirmi la parolina magica, che da sola riesce a farmi scattare un sorriso. Sì perché per il resto c’è poco da ridere, soprattutto in giornate come questa, in cui mi sento completamente svuotata.
Tutta una mattinata a mettere insieme parole scontate, banali che servono solo a riempire una pagina di giornale. Nessuno spessore aggiunto, nessun accenno di stile. Articoli che mi vergogno anche di firmare spesso, è brutto ammetterlo ma è così. Ma cosa è successo?
Ricordo l’entusiasmo con cui avevo iniziato.
Quel mio immedesimarmi in ognuno dei miei interlocutori, al di là del loro status sociale. Perché non mi interessava parlare con un grande big, anzi mi emozionavo e mi tremava la voce ogni qualvolta mi veniva richiesta l’intervista a un “personaggione”. Preferivo le persone semplici.
Ogni storia la facevo mia e più si trattava di mister poco quotati, di squadre finite nel dimenticatoio, più mi si accendeva la lampadina e mi dicevo: “Vai, ora tocca a te, devi rendere le loro storie esemplari, devi trovare quella valvola in grado di innescare il meccanismo che catturi il lettore e lo porti a leggere il tuo articolo, dalla prima all’ultima parola. Hai la possibilità di dar voce a queste persone, non puoi trattarli con sufficienza”. Ed ecco che il mondo intorno spariva e rimanevamo solo io e lui, il pc.
Lavoravo con tranquillità, limavo parola per parola, contavo le virgole, stavo attenta a non usare troppi aggettivi, a togliere gli avverbi in “-mente”, perché saranno pure lunghi e ti permettono di occupare spazio, ma “fanno troppo brutto”. Ed ero soddisfatta quando finivo. Mi alzavo ed uscivo sorridendo, e non importava che erano le cinque di pomeriggio, ed avevo un appuntamento e “pazienza gli do buca”. Avevo fatto il mio dovere, e il mio dovere corrispondeva al mio piacere, per questo ero contenta.
Ed ora? Dove è andata a finire tutta quella passione?
Non lo so. So che scrivo senza trarne giovamento. Quanto devo fare, cinque mila battute? Le faccio. Articoli scarni, scrivo il minimo indispensabile, non di più. Magicamente alle 12.55 ho già finito ed abbandono la mia postazione. Beh meglio no? Mi si potrebbe obiettare.
No rispondo io, perché scrivere controvoglia non mi realizza anzi, mi fa soffrire.
Spero che sia solo un periodo. Deve essere un periodo, visto che non ho un capro espiatorio con cui prendermela. So che, come sempre, me la canto e me la suono da sola. Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala… […]

E poi irrazionalmente vado a prendere l’81 ed arrivo qui, nel maggiore centro d’informazione italiano. Entro ed a testa alta mi siedo in quel posto che non interessa a nessuno ma che io a fatica ho conquistato. Anche qui alti e bassi.
Ci sono giornate in cui mi sento sulla cresta dell’onda:
“Romina fai questo?”
“Romina quindici righe, non di più su questo comunicato!”
“Vedi la notizia delle 13.32, questo è il primo commento ufficiale, facciamo una bella apertura”. Che poi mica faccio sempre tutto bene, anzi! Con i titoli vado forte, quello sì, li indovino la maggior parte delle volte. Ed anche lo stile della scrittura è abbastanza apprezzato: frasi brevi, poche subordinate, carenza di verbi. Quel che mi frega però sono i lead:
“L’idea era buona, ma se noi mandiamo in desk questa notizia mi chiamano quelli della Fiat e mi fanno un culo così!” – mi dice Gianluca senza mezzi termini. Io rifletto: ho appena scritto “Il Bingo come la Fiat”…beh sì, forse ha ragione, un po’ troppo azzardato come attacco, non lo metto in dubbio.
Ma va bene lo stesso, mi piace quando mi richiamano, mi metto vicino a Gianluca, a Tiziana, a Angela, loro leggono quello che scrivo e mi correggono, mi danno suggerimenti, svelandomi quelli che si possono definire i “trucchi del mestiere”.
Ma capitano anche i pomeriggi come oggi, in cui faccio parte della cosiddetta schiera degli stagisti- invisibili. E’ la notizia del ritrovamento dei corpi dei fratellini Pappalardo a Gravina di Puglia a tener banco in redazione, da quando sono arrivata. Tutti sono sull’attenti e scattano appena si aggiunge una notizia, una dichiarazione, un commento, anche un piccolo particolare che serve a chiarire le dinamiche di due morti tanto assurde quanto spietate. “Due politici stamani sono andati a trovare il padre al carcere di Velletri” – dice colei che mi sta dietro.
“Ottimo abbiamo lo scoop” – commentano dall’altra stanza.
Segue mezzora di telefonate intensissime, ma alla fine niente, issiamo la bandiera bianca: non ci sarà nessuno scoop, un giornale si è già aggiudicato l’esclusiva.
Stralci di ordinaria quotidianità, nulla più. No non c’è tempo da dedicarmi oggi, ma non ne faccio un dramma, perché mi sto appassionando come loro alla vicenda, mi piace seguirla qui, in diretta, anche se loro scrivono, io invece posso solo osservare, però sono in pole position. Mi accontento.
Prima ho mandato una mail alla Chiari, che se la memoria non mi inganna ora ha una cattedra all’università di Genova. Le ho scritto che non sono più sicura di fare il dottorato negli Stati Uniti, perché significherebbe tardare ancora di tre-cinque anni il mio ingresso nel mondo del lavoro e, già ora mi sento indietro rispetto agli altri. Aspetto una sua risposta, spero che almeno lei riesca a tranquillizzarmi un po’, perché è proprio questa la cosa che più mi manca in questo periodo, la tranquillità.
Sempre con l’impressione di percorrere la strada sbagliata, a volte il pensiero di cambiare percorso si concretizza, ma poi…succede che poi… vado al bar di fronte a Fontana di Trevi e l’amico barista mi fa spazio tra la massa di americani-cinesini-giapponesini che litigano a suon di gestacci per un gelato e dice: “un caffè per la giornalista”. Ed io sorrido…









frase del giorno: NON DEMORDERE

1 commento:

Contemporary Visions of Art ha detto...

Inauguri questo tuo spazio con la consueta attenzione e passione per ciò che ti circonda.
Sei abile a distinguerti per intraprendenza e voracità di suggestioni.
In bocca al lupo per questo tuo ennesimo progetto...aspettando ancora quell'intervista che mi proponesti tempo addietro...
Intanto ti linko al mio blog